Secondo gli Ermellini, la prova dell’inadempimento del dovere di informazione da parte del medico non obbliga il paziente a dimostrare un suo probabile rifiuto all’intervento in caso di avvenuta adeguata informazione, giacché la violazione del fondamentale e personalissimo principio di autodeterminazione dell’assistito si ricollega implicitamente alla carenza di un quadro informativo completo e ben compreso o spiegato a chi dovrebbe valutarlo ai fini della decisione di sottoporsi o meno ad un determinato trattamento sanitario (Cass., 5 luglio 2017, n. 16503).
Una pronuncia, questa, che farà certamente discutere, in quanto si discosta nettamente dall’orientamento finora espresso dalla Suprema Corte (v., in particolare, Cass., 15 settembre 2008, n. 23676), la quale aveva più volte ribadito che l’omesso consenso configurerebbe di per sé un ipotesi di danno solamente laddove sia possibile dimostrare che, nonostante l’atto medico non abbia determinato un peggioramento dello stato di salute del paziente, il comportamento scorretto del medico abbia fatto correre al paziente un rischio che questi avrebbe, invece, verosimilmente evitato, qualora fosse stato correttamente informato.
(Commento a cura dell’Avv. Luca Dimasi)